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Gubana / Gubanca Foto: Davide Degano

Gubana / Gubanca

La gubana – gubanca – è il dolce tipico delle Valli del Natisone, composto da pasta lievitata e un ripieno a base di frutta secca. Con la sua forma a chiocciola è cugina dalla potica slovena. Un tempo preparata nelle case per le feste e le grandi occasioni, è oggi prodotta da diversi forni artigianali e inserita anche nella grande distribuzione.

Se si dice gubàna / gubànza / gubànca, si dice Valli del Natisone, quella parte della Benecia dove da secoli questo dolce ha allietato gli avvenimenti lieti delle famiglie e delle comunità, come i matrimoni, le sagre paesane e le ricorrenze religiose più importanti. Non c’è festa senza la gubana perché è unica per il suo valore intrinseco, bella per la sua forma, buona perché racchiude nel suo involucro dorato quanto di più dolce produce questa terra generosa e aspra. La ricetta, che sapientemente armonizza ingredienti genuini e locali, è antichissima. Si narra che il dolce facesse parte delle 72 vivande servite al banchetto allestito in onore del Papa veneziano Gregorio XII in occasione del Concilio generale tenutosi il 26 maggio 1409 a Cividale del Friuli.

L’origine della gubana rimane ancora senza una datazione precisa. Le testimonianze più antiche risalgono al ‘500 quando in Val Natisone erano già diffusi i cognomi Gubana e Gubaniza che probabilmente erano soprannomi riferiti a persone molto brave a confezionare il dolce o a gustarlo volentieri oppure lo richiamavano per le forme tondeggianti.
Gubana / Guban(i)ca, deriva dallo sloveno guba che significa piega e indica la forma del dolce che si ottiene avvolgendo il ripieno nella sfoglia, poi torcendo a spirale il lungo cilindro ottenuto in modo da ottenere la caratteristica forma a chiocciola.

Fino agli anni Sessanta del secolo scorso la gubana era prodotta esclusivamente a livello domestico da una donna esperta che ne aveva ereditato la ricetta e i segreti dalla mamma o dalla nonna. Dopo averla modellata, essa spennellava la parte superiore con uovo sbattuto e la cospargeva di zucchero, quindi la infornava o la portava a cuocere in case con un forno adatto scaldato con ramaglie minute.
L’occasione che diede avvio alla produzione del dolce a livello artigianale fu il concorso per la migliore gubana, indetto nel 1965 a San Pietro al Natisone per la festa del Santo patrono. Quest’evento fu decisivo per il suo futuro e decretò l’inizio della sua promozione su vasta scala da parte di ditte locali. Nel corso degli anni queste aumentarono di numero ed alcune di loro si stabilirono anche fuori del territorio di origine della gubana.
Il salto dalla dimensione casalinga a quella su vasta scala e la diffusione del dolce anche fuori dai confini regionali ha fatto smarrire, in parte, la genuinità della ricetta e l’originario significato che la gubana ha avuto lungo i secoli: nella pubblicità e nei mezzi di comunicazione è diventata una specialità friulana, oppure di Gorizia e di Cividale che pure vantano un dolce simile nella forma. Ma la differenza tra di loro sta nella pasta: lievitata per la gubana della Benecia, sfoglia per quella cividalese e goriziana, quest’ultima chiamata anche presnitz.
Vani sono risultati i tentativi di far rientrare la produzione della gubana nel territorio in cui ha avuto origine con un marchio che ne certificasse la provenienza e la ricetta ufficiale. Il provvedimento avrebbe reso il dolce tipico delle Valli del Natisone maggiormente concorrenziale, avrebbe promosso il territorio e reso omaggio alla comunità che l’aveva ideato e prodotto lungo i secoli.

Gli ingredienti fondamentali del ripieno della gubana sono noci tritate, uvetta ammorbidita nella grappa, pinoli e zucchero, il tutto profumato preferibilmente con un po’ di slivovka, la grappa di susine. Ma ogni cuoca ha i propri segreti, ereditati da mamme e nonne e custoditi gelosamente, e vi aggiunge o sostituisce aromi e ingredienti che rendono il dolce parte delle tradizioni famigliari.

La gubana che oggi si gusta nelle Valli del Natisone è il prodotto di un’arte culinaria che si è evoluta nei secoli partendo da un dolce che aveva come base del ripieno le castagne e altri pochi ingredienti, tra cui il miele, prima che lo zucchero diventasse di uso comune, e l’uva fragola passita. In alcune famiglie la si fa ancora con le castagne, ma è diventata una rara eccellenza.

Quanto la gubana fosse considerata il simbolo della festa è testimoniato dal fatto che è stata elevata a immancabile regina dei matrimoni: la sposa la offriva al parroco avvolta in un tovagliolo bianco e al termine del banchetto nuziale era donata ad ogni invitato: era la bomboniera di quei tempi. Si può immaginare quale lavoro e quanto tempo comportasse la preparazione di una simile quantità di dolci, ma nessuna famiglia si sottraeva a questa usanza tanto che la gubana era diventata sinonimo di matrimonio. Per scoprire le nuove coppie dei fidanzati, non ancora ufficiali, in quel di Drenchia li si apostrofava così: «Ka‘ bomo pekli gubance? / E che, cuoceremo le gubane?».

Ma come non c’erano matrimoni senza gubane, senza di esse non c’erano neanche le sagre paesane che richiamavano gente da ogni dove e costituivano l’occasione per invitare i parenti lontani, per concludere affari e, per i giovani, di conoscersi, simpatizzare e intrecciare amori. Particolarmente frequentata era quella del Santo patrono di San Pietro al Natisone, che Ivan Trinko, nella Guida delle Prealpi Giulie (1912), descrive così: «La “sagra” di San Pietro, che cade ai 29 di giugno, è conosciuta come una delle più attraenti, ed infatti attira da ogni parte una grandissima folla di forestieri, desiderosi di divertirsi e di gustare sul luogo la squisita gubana (gubànza), specialità di questi paesi e di innaffiarla col così detto vino “cividino”, altra non meno gustosa specialità» (p. 626). E più avanti, riguardo alla grande festa che si teneva sul San Martino nel mese di settembre e che richiamava gente da una parte e dall’altra del confine, ricorda che dopo la celebrazione della messa, accompagnata da «canti tradizionali, gravi e veramente sacri», la gente si riversava sui prati adiacenti alla chiesa dividendosi in gruppi, e prosegue: «I litri colmi [di vino] girano regolarmente in cerchio di bocca in bocca, mentre la parte solida del “comfort” è rappresentata dalla gubànza, ghiotta specialità di questi paesi Sloveni» (p. 677).

Da quanto detto si può dire che per la gente delle Valli del Natisone la gubana ha avuto una valenza identitaria, è stata un rito irrinunciabile nel ciclo calendariale e motivo di gioiosi sentimenti e struggenti emozioni in un contesto di privazioni e sogni dissolti… Dino Menichini, scrittore e giornalista nato a Stupizza, ha vissuto tutto ciò e lo ha mirabilmente espresso in questi versi:

La fetta di gubana
ci diceva il Natale, Epifania,
il giorno del patrono San Floriano,
le cresime, le nozze …,
ma nel cuore
non risarciva tutto il magro pane
masticato in silenzio per stagioni.

Con sapienza le madri
mescolavano noci,
pinoli e uva passa triturandoli
a lungo nel mortaio,
vi aggiungevano pane grattugiato,
casalingo liquore:
disponevano infine il dolce amalgama
nella striscia di pasta che attorcevano
a farne una spirale
imperlata di zucchero
con un segno di croce.

La gubana
che portava profumo nel paese
era festa d’un giorno già sciupato
dal nostro lungo attenderlo,
dal pensiero che ancora magro pane
avremmo masticato per stagioni.

 

Lista completa dei gubanifici delle Valli del Natisone